di Mario Adinolfi
Quando guardo oggi la foto di Vittorio Bachelet lasciato lì, cadavere, in un angolo, ritratto senza neanche l’atto di pietà di un lenzuolo a coprirlo, non riesco a non pensare che io ho esattamente l’età che aveva lui quando è stato colpito, neanche 54 anni. Come lui ho figli, come lui sono un cattolico impegnato in politica mal sopportato dalla sinistra più radicale. A differenza sua, io non rischio la vita, ma per quella palese ostilità quando vado a parlare in giro per l’Italia vengono schierati a protezione decine di agenti. Bachelet era senza scorta e per questo venne agevolmente ucciso dai comunisti combattenti, ma vigliacchi, delle Brigate Rosse il 12 febbraio 1980 e in tantissimi non sanno chi sia, ne hanno perso la memoria. Ci sarà per l’anniversario qualche breve cerimonia pubblica, che nessuno noterà. I suoi assassini si chiamano Anna Laura Braghetti e Bruno Seghetti, entrambi condannati a più ergastoli per una serie di assalti cruenti ai cattolici (dalla strage di via Fani, a quella della sede Dc di piazza Nicosia, all’assassinio di Moro). Seghetti ha ottenuto la semilibertà già nel 1995. La Braghetti è fuori dal carcere da 25 anni e ha scritto libri anche con la stragista Francesca Mambro, mentre da quello scritto con Paola Tavella è stato tratto il film di Bellocchio acclamato a Venezia al festival Buongiorno, notte. Non esistono libri o film dedicati invece al sacrificio di Vittorio Bachelet. Provo io a colmare la lacuna restituendovi le immagini di ciò che accadde.
Il 12 febbraio 1980 la ventiseienne Anna Laura Braghetti sembra una studentessa come tante quando sale le scale avvicinandosi al professore che da poco aveva finito la sua lezione in aula Aldo Moro alla facoltà di Scienze Politiche dell’università La Sapienza di Roma. Sembra a tutti, ma non a lui, non al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura e docente universitario neanche cinquantaquattrenne, Vittorio Bachelet. Lui capisce subito e sbianca. La Braghetti gli appoggia la pistola al ventre e spara tre volte, Bachelet si accascia e rotola dai gradini emettendo un urlo agghiacciante. Gli si avvicina Bruno Seghetti che si era confuso tra i ragazzi seguendo addirittura in aula l’ultima lezione del fu presidente dell’Azione Cattolica e consigliere comunale della Democrazia Cristiana. Spara anche Seghetti, quattro colpi, uno alla nuca per finirlo. Lo aspettavano a un convegno a mezzogiorno, erano le 11.50, l’ultima frase di Bachelet prima di essere colpito fu: “Io quasi quasi andrei”.
Quarantacinque anni sono passati e il ricordo di Bachelet è scolorito eppure uccidere il vicepresidente del Csm fu un’impresa terroristica di altissimo livello, forse seconda per importanza istituzionale dell’obiettivo solo al sequestro e all’uccisione di Aldo Moro. L’obiettivo dei terroristi erano i cattolici impegnati in politica, un mese prima a Palermo era stato ucciso il presidente democristiano della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella. Anna Laura Braghetti aveva partecipato all’assalto alla sede della Democrazia Cristiana di Roma in piazza Nicosia, uccidendo gli agenti Antonio Mea e Pierino Ollanu. Bruno Seghetti, che aveva già gambizzato l’esponente della Dc romana Publio Fiori e il direttore cattolico del Tg1 Emilio Rossi, sarebbe stato arrestato il 19 maggio 1980 dopo aver ucciso il 49enne assessore democristiano alla Regione Campania, Pino Amato. Era la mattanza dei cattolici, ma non se ne conserva memoria, gli stessi cattolici impegnati in politica faticano a ricordarsene.
Sia Braghetti che Seghetti, peraltro pesantemente coinvolti anche nel sequestro e assassinio di Aldo Moro, sono stati condannati all’ergastolo. Seghetti anche da detenuto ha continuato a rivendicare la lotta armata organizzando la rivolta del carcere di Trani e partecipando nel 1987 a un tentativo di evasione da Rebibbia insieme a Prospero Gallinari, che nel frattempo aveva sposato in carcere la Braghetti. Per via di questo comportamento esemplare, i giudici di sorveglianza hanno fatto uscire dal carcere Seghetti nel 1995. Anna Laura Braghetti pubblica libri, dal suo Il Prigioniero (1998) è stato tratto come ho accennato il film Buongiorno, Notte di Marco Bellocchio.
Attorno al cadavere di Vittorio Bachelet le prime ad arrivare furono, come spesso accade, le donne: era con lui l’assistente Rosy Bindi, poi giunsero la moglie Maria Teresa, la figlia Maria Grazia. Il figlio Giovanni ai funerali del 14 febbraio 1980 commosse l’Italia pregando dall’altare per gli assassini del padre chiedendo “giustizia e non vendetta”, pronunciando parole di perdono. I due fratelli sacerdoti di Vittorio ancora oggi raccolgono offerte per aiutare il reinserimento dei detenuti nella società, inclusi gli ex terroristi. Molti dei quali si sono ritrovati vicino Reggio Emilia, curiosamente proprio dove le Brigate Rosse furono fondate, il 19 gennaio 2013 per il funerale di Prospero Gallinari, il marito della Braghetti. Accanto alla sua bara avvolta in una bandiera rossa con la falce e martello sono stati proclamati i consueti slogan (Prospero è vivo e lotta insieme a noi / le sue idee non moriranno mai) e poi cantata a pugno chiuso l’Internazionale. Tra i più vivaci, Seghetti. Non sembravano pentitissimi della loro folle epopea assassina.
Nessuno di voi che mi legge ricorda il sacrificio o anche solo il nome di Pino Amato ucciso da Seghetti, nessuno ricorda i nomi degli agenti della scorta di Aldo Moro della strage di via Fani, meno che mai quelli dei due agenti uccisi da Anna Laura Braghetti nell’assalto alla sede della Democrazia Cristiana di piazza Nicosia a Roma. Vittorio Bachelet, che sapeva bene di essere un obiettivo dei terroristi, non volle mai la scorta, non si atteggiava a Saviano. Come molti cattolici completamente dimenticati, penso al Direttore Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena il giudice Girolamo Minervini ucciso un mese dopo il 18 marzo 1980 sull’autobus dell’Atac con cui andava a lavorare, Bachelet non chiese mai la scorta perché non voleva che nel suo eventuale assassinio ci fossero coinvolte “altre vittime giovani e innocenti”. Questa scelta colpì Karol Wojtyla, che aveva incontrato molte volte il presidente dell’Azione Cattolica dei primi Anni Settanta poi diventato uno dei vertici istituzionali della Repubblica italiana nell’avvio del suo pontificato. Quando San Giovanni Paolo II fu colpito al ventre dai proiettilii esplosi da Ali Agca il 13 maggio 1981, alla vista del sangue che inondava la sua veste bianca mormorò: “Come Bachelet, come Bachelet…”.
Il sangue versato da Vittorio Bachelet e da molti altri cattolici come lui purtroppo completamente dimenticati, sia invece sempre ragione feconda che dia forza al nostro impegno contro le forze del male che ancora agiscono e pensano, sotto sotto, d’aver avuto ragione nell’aver fatto quello che hanno fatto a tanti innocenti. E la libertà che abbiamo loro offerto come segno di perdono ha solo rinfocolato il loro orgoglio e somiglia sempre di più a una forma esplicita di denegata giustizia. L’assenza di memoria è però una nostra colpa. Lotto da sempre affinché sia colmata. La foto di Bachelet ucciso è la foto di un uomo lasciato solo, dalle istituzioni che non lo hanno protetto e da noi che lo abbiamo dimenticato. Speriamo che riemerga grazie a questa immagine anche la voglia di battersi per idee difficili e contrarie alle mode correnti, mettendo in gioco fino in fondo tutto di noi stessi.