Da oggi sarete invasi da commenti sul festival di Sanremo. Carlo Conti lo vorrà riempire di “messaggi positivi”: prende i trapper e li fa cantare brani rassicuranti, apre con il ricordo di Sammy Basso e Ezio Bosso, niente monologhi neanche per i comici ridotti a “schegge”, zero politica e “amore” e “cuore” parole più ricorrenti nei testi (anche nella variante “cuoricini” che pare sarà il tormentone del 2025 grazie ai Coma Cose, i novelli Albano e Romina, i miei preferiti). Massimo momento di impegno civile, proprio stasera nella serata d’apertura con l’israeliana Noa e la palestinese Mira Awad a cantare insieme l’inevitabile Imagine di John Lennon.
Altro super ospite della prima serata è Jovanotti, che ha recentemente raccontato di aver rifiutato un invito di Saviano a cantare Imagine in tv: “Non voglio cantare un mondo in cui non esista la religione. Un mondo senza religioni sarebbe peggiore”. La cosa più tremenda di queste giornate sanremesi è che hanno tentato di estirpare ogni occasione di riflessione critica, ma per totale incultura non si sono resi conto che far cantare ad una ebrea e ad un’araba il rifiuto della religione è un puro insulto ai loro popoli che esistono proprio in virtù della propria radice religiosa. Cantare Imagine è un rito laicista e occidentalista, irrispettoso dell’identità di ebrei e musulmani come dei credenti in genere. Se il mondo fosse come quello immaginato da John Lennon, tutto qui e ora, senza trascendenza e senza Dio, senza paradiso e senza inferno, senza religione e senza identità nazionali, sarebbe un mondo feroce e disperato la cui capacità autodistruttiva è stata già sperimentata dai milioni di morti dell’antireligiosità rivoluzionaria francese, del paganesimo nazista, dell’ateismo comunista.
Il mondialismo immaginato da Lennon (“the world will be as one”) fu il sogno di tutte quelle rivoluzioni totalitarie, che non a caso sono accomunate dal rifiuto della religione e dal delirio internazionalista. L’intenzione di Carlo Conti è far risuonare da Sanremo il solito innocuo messaggio di pace, ma farlo insultando l’appartenenza religiosa di israeliani e arabi è il modo peggiore per cominciare, perché dimostra che davvero non si hanno le categorie per comprendere il reale.
Sarà un Sanremo dell’irrealtà e un po’ della bugia, con trapper edulcorati per trasformarli in prodotti nazpop capaci di produrre più denaro e morti evocati per fare retorica. La cifra del reale si vedrà negli occhi di Fedez, nella sua canzone sulla depressione che credo sia il vero sentimento più diffuso in un Paese ormai privato delle categorie per comprendere ciò che è bene e ciò che è male, in una melassa che copre tutto e non vuole mai spiegare niente. Peccato, anche un festival della canzone poteva essere un’occasione per un racconto popolare a più facce dei tempi difficilissimi che stiamo vivendo, ma è un’occasione sprecata.