di Mario Adinolfi
Il 5 ottobre 1982 Giovanni Paolo II pronunciò un profetico discorso in cui per la prima volta parlò della “vocazione dell’Europa alla fraternità e alla solidarietà di tutti i popoli che la compongono dall’Atlantico agli Urali”. Non c’è Europa senza la Russia, l’espressione “dall’Atlantico agli Urali” non è solo la descrizione geografica più precisa di ciò che è il nostro continente, ma anche una visione geopolitica che il Papa venuto dall’Est aveva chiarissima e avrebbe ripetuto più volte nel corso del suo lungo pontificato. Proprio interessi geopolitici opposti ci hanno condotto a identificare la Russia come un nemico, a farle la guerra con le nostre armi dissanguando l’economia dei popoli europei, a introdurre infinite sanzioni per azzerare i commerci di reciproco interesse, il tutto riducendo l’Europa all’Ue cioè a un coacervo scomposto di piccoli egoismi contrapposti, irrilevanti ora che il mondo si sta riorganizzando. E di tale riorganizzazione come Ue pagheremo tutte le conseguenze, proprio perché come europei ci siamo privati della visione wojtyliana: un unico vasto continente includente la Russia reso forte dalla comune radice valoriale cristiana.
L’Ue prima rifiutò anche solo di considerare la citazione della radice cristiana come fondamento dell’unità europea, con Valery Giscard d’Estaing presidente della Convenzione europea che getta via platealmente senza leggerlo il messaggio inviatogli in tal senso da Giovanni Paolo II nel 2002. Poi il 28 maggio dello stesso anno, dopo quello che venne chiamato il “miracolo di Pratica di Mare” in cui Berlusconi sembrò riuscire ad avvicinare la Russia alla Nato, la Dichiarazione di Roma firmata quel giorno naufragò per via della spinta americana a additare Putin come un nemico, scelta geopolitica su cui spinse in particolare l’amministrazione Obama dal 2008. Per quale orizzonte strategico? Per non far avvicinare Europa e Russia, che unite avrebbero potuto agire da superpotenza. Il Berlusconi filoputiniano (lo sarebbe rimasto fino alla fine dei suoi giorni) era in questo senso il politico europeo da abbattere e nel 2011 come è noto la manovra riuscì.
Il resto è storia di questo ultimo triennio. L’amministrazione Biden attraverso il conflitto russo-ucraino ha scavato un vallo insormontabile tra Ue e Russia, infragilendo la prima e facendo la guerra alla seconda, riuscendo a descrivere Putin come il nuovo Hitler con un massiccio bombardamento di propaganda mediatica senza precedenti nelle democrazie occidentali. Essere “filorussi” diventa pretesto per la messa al bando di personalità, intellettuali e interi partiti politici anche molto popolari; addirittura in Romania ha portato all’arresto del candidato alla presidenza che aveva vinto le elezioni, subito annullate con una procedura senza precedenti. Tutto questo perché?
Per rendere impossibile l’intuizione di Wojtyla, per non rendere concreta la prospettiva dell’Europa vera superpotenza economica, militare, tecnologica, nucleare, strategica che si sarebbe realizzata nell’unita “dall’Atlantico agli Urali”. Nel dicembre del 1991, dunque dopo la fine del dominio comunista in Europa dell’Est e poco prima di vedere ammainata la bandiera sovietica dal Cremlino, uscì un volume edito da Sinopsis intitolato: “Dall’Atlantico agli Urali nel segno di Cristo. L’Europa vista da Giovanni Paolo II”. Il testo è ormai introvabile. La rivista Limes ne parlò nel 2009 descrivendo “l’insofferenza del Papa polacco e slavo per i blocchi”. In sostanza Wojtyla non amava la sudditanza dell’Europa occidentale al blocco atlantista, indicava un’altra via: un’Europa unita e forte appunto “dall’Atlantico agli Urali” protagonista del proprio futuro e faro del mondo perché interprete unica dei valori comuni della radice cristiana. Ne nacque l’unione di 300 movimenti e associazioni ecclesiali denominata nel 1998 Together 4 Europe, cui nel maggio 2004 Giovanni Paolo II inviò uno dei suoi ultimi messaggi sul tema del futuro del Vecchio Continente in cui ha ricordato che “la luce del Vangelo ha illuminato la storia d’Europa”.
Ci sono margini per la ricostruzione di quella visione? Oggi sembra un disegno totalmente irrealizzabile ma davanti alla crisi che considero irreversibile dell’Unione europea specie sotto la guida di Ursula Von der Leyen e Kaja Kallas, gli scenari che si aprono possono essere molteplici anche se attualmente appaiono inimmaginabili. Di certo ieri il segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha fatto saltare l’incontro con la Kallas, mentre una delegazione americana incontrerà quella russa oggi a Istanbul. L’Ue è sempre più irrilevante e viene trattata a pesci in faccia, senza apparenti segnali di reazione. Pagheremo caro tutto questo come popoli europei e forse al governo italiano spetta ora un ruolo di apripista per equilibri nuovi. Dovremmo rimuovere subito le sanzioni alla Russia e annunciare la fine del coinvolgimento in un conflitto che insanguina anche con le nostre armi il cuore d’Europa. L’Italia potrebbe lanciare così un messaggio nuovo, di pace e fratellanza, proponendo l’idea di un’Europa vera e unita, superpotenza reale nel mondo che verrà accanto a Stati Uniti e Cina. Solo un’Europa salda e solidale dall’Atlantico agli Urali, da Roma a Mosca, può realizzare questa ambizione. Altrimenti il gioco sarà gestito da altri e noi subiremo soltanto decisioni assunte sopra le nostre teste, inevitabilmente a nostro danno.