di Mario Adinolfi
Il 9 giugno 2022 scrissi e pubblicai proprio dalla piccola isola pontina il “nuovo Manifesto di Ventotene” sottolineando come la versione del 1941 non solo contenesse passaggi inaccettabili ma fosse ormai sventolata come fonte di quella dimensione coercitiva oggi rappresentata dall’Unione europea. Non sapevo di anticipare di tre anni un dibattito che avrebbe improvvisamente fatto prendere fuoco al Parlamento, dove s’è svolta ieri una recita a soggetto: Giorgia Meloni ha scatenato la polemica per deviare l’attenzione dalla scelta cruciale di oggi al Consiglio europeo (stiamo con Von der Leyen o no?), l’opposizione si è stracciata le vesti per coprire le sue paralizzanti e persino un po’ ridicole contraddizioni interne. Su Ventotene insomma s’è scritta un’altra pagina che prova a operare una distrazione di massa quando ci sono da prendere scelte cruciali, di solito si usa la dicotomia fascismo e antifascismo, stavolta ci si è scontrati su un manifesto del 1941, lo schema è lo stesso.
Qui il problema vero è il Consiglio europeo che si apre oggi a Bruxelles e porterà al varo ufficiale di un piano di riarmo che fino al 2030 consentirà agli Stati di innalzare la spesa militare per un punto e mezzo di Pil, con 150 miliardi aggiuntivi in prestiti Ue, per arrivare a un riarmo complessivo di 900 miliardi di euro nel quinquennio. La Germania ha già annunciato un piano nazionale proprio da 600 miliardi in un quadriennio, rompendo il vincolo del pareggio di bilancio. Tutto questo, lo ha detto chiaramente il ministro Crosetto in una lettera pubblicata oggi dal Corriere della Sera, non concorrerà alla costruzione di una difesa comune europea, che era l’idea degasperiana che spesso molti citano, ma solo ad avere Stati nazionali europei più armati. La difesa comune resta affidata alla Nato, scrive Crosetto, con l’incognita di cosa Trump vorrà fare della Nato.
Ursula Von der Leyen ha detto chiaramente e senza mezzi termini a cosa serve questo piano di riarmo: “A preparare la guerra”. Lo ha detto con il tono tedesco, pur riferendosi al motto latino si vis pacem para bellum. In pochissimi anni ci ritroveremo con una Germania armata fino ai denti che spenderà 600 miliardi, una Russia che ha 25 milioni di soldati dislocabili al fronte e una spesa militare superiore al 7.5% del Pil, Francia e Gran Bretagna che dispongono di testate nucleari, gli Stati Uniti disinteressati a fornire un ombrello di difesa all’Europa progressivamente vista come nemica. Chi sarà l’anello debole in tutto questo inevitabile innalzarsi della temperatura? Ovviamente noi, l’Italia.
Se ha ragione la Von der Leyen e dobbiamo prepararci a uno scenario di guerra in cui l’Europa si contrappone alla Russia il primo Paese ad essere attaccato sarà il nostro e non avremo modo di difenderci, pure se triplichiamo la spesa militare. In pochi hanno notato che ormai russi e bielorussi hanno posizionato basi militari e navi in Cirenaica accordandosi con Haftar. Una volta la Libia era italiana, ora la zona di Tobruk è militarmente consegnata a Putin e Lukashenko. Da lì in quarto d’ora missili russi e bielorussi possono radere al suolo tutte le principali città italiane e mandare così un messaggio all’Europa che volesse continuare a “preparare la guerra”, visto che lo step successivo sarebbe di tipo nucleare.
Le politiche di riarmo in Europa servono solo a Germania, Francia e Regno Unito non a caso sono sostenute da Von del Leyen, Macron e Starmer. Sono invece del tutto contrarie all’interesse nazionale italiano e Giorgia Meloni dovrà dirlo con chiarezza al Consiglio europeo di questi due giorni dove non verrà avanzata nessuna proposta di impossibile difesa comune, ma si blinderà un piano di spesa militare a carico degli Stati nazionali per noi sia economicamente insostenibile che politicamente controproducente.
L’Italia deve lavorare in senso totalmente opposto: ridurre la distanza con Trump, cercare un appeasement con la Russia, chiudere la stagione delle armi e della guerra in Europa, varare un grande piano di rinascita dell’unica vera caratteristica continentale che ci fa diversi e grandi nel mondo: il welfare. Più sanità pubblica, più istruzione per tutti e più cultura, previdenza, assistenza agli ultimi, sostegno alle nascite per uscire dall’inverno demografico. Questa è l’utilità per l’Italia di stare in Europa, veder partire un piano che sostenga i bisogni di famiglie e imprese, non un’ennesima operazione calata dall’alto che finirà per metterle ulteriormente in difficoltà.
A Bruxelles in questi giorni ripeteranno che “bisogna preparare la guerra” perché la Russia dopo l’Ucraina estenderà i suoi appetiti ai paesi baltici (Lettonia, Estonia, Lituania) e poi chissà a Polonia e Finlandia. Riarmarsi e puntare tanti nuovi missili verso Mosca è il modo per evitarlo? Non immagino ci sia uno solo dei miei lettori disponibile a credere a questa panzana. La guerra si evita riannodando i fili, con pazienza, specie se sei il vaso di coccio tra vasi di ferro.
Con il dibattito su Ventotene sono riusciti a distrarci nel giorno della scelta decisiva. L’Italia non può sostenere ReArm Europe, è totalmente contro i suoi interessi e ci espone a concreti rischi di annientamento. Dobbiamo lavorare nella direzione opposta, verso il disarmo concordato e una politica di equilibrio tra le diplomazie, incassando un risultato alla volta come ha fatto Trump con la lunga telefonata a Putin. Certo, non è ancora un pieno cessate il fuoco, ma meno bombe è sempre meglio di più bombe. Questa è la direzione giusta, non il riarmo di Stati nazione che nella storia hanno sempre causato le guerre peggiori.