di M. Adinolfi

A Repubblica hanno vissuto travasi di bile a profusione, sintetizzati nella (brillante) vignetta di Ellekappa in cui Trump abbraccia la Meloni e la definisce “il mio parassita preferito”. Travasi di bile perché il vertice bilaterale alla Casa Bianca è stato senza dubbio un successo. C’era una condizione di subalternità? È ovvio. Ma Giorgia Meloni è stata accondiscendente senza finire a baciargli il culo, ci ha messo un po’ di femminile malizia in cui anche i passaggi di apparente adulazione (“lasciami promuovere il mio Paese, sei un businessman e mi capirai”) erano manovrati per ottenere attenzione su se stessa, non facile in quello Studio Ovale dove Zelensky in analoga posa era finito in due minuti al tappeto. La premier italiana incassa una centralità di Roma per il negoziato con l’Europa su dazi e non solo, propone la sua idea di Occidente rafforzato e liberato dalla follia della cultura woke e della cancel culture (ottimo il passaggio su Cristoforo Colombo), anche personalmente diventa figura di garanzia spendibile nel dialogo con i nuovi Stati Uniti e credo che ciò si noterà ancora di più oggi dopo l’incontro a Palazzo Chigi con il vicepresidente Vance. I due quarantenni più rilevanti del pianeta. Non è poco per la ragazza della Garbatella.

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