di Mario Adinolfi
Giorgia Meloni incontrerà oggi Donald Trump alla Casa Bianca ed è il primo leader occidentale ad essere ricevuto a Washington dopo la tempesta scatenata il 2 aprile con l’annuncio dei nuovi dazi americani. Questo è un indubbio successo della nostra diplomazia e accresce lo status internazionale della Meloni stessa. Leggo su tutti i giornali che il ruolo che la nostra premier dovrebbe svolgere è quello di una sorta di ambasciatrice Ue per favorire un vertice tra Trump e Ursula Von der Leyen. Mi auguro davvero che la Meloni non sprechi la sua occasione così. C’è chi non vuole capire che la relazione tra Usa e Ue come l’abbiamo vissuta negli ultimi anni è finita, frantumata dal ciclone Trump. Di più: di fatto l’Ue come entità unitaria, semmai fosse esistita, non esiste più. Nessuno crede che la politica estera comune la possa dettare Kaja Kallas con le sue deliranti interviste russofobiche, la Kallas è espressione di un piccolo paese baltico che ha meno abitanti delle Marche. Porta nelle sue interviste le paure ataviche di una estone, non le esigenze continentali. Ecco, Giorgia Meloni alla Casa Bianca faccia vedere di che pasta è fatta un’italiana “donna, madre e cristiana”. E chieda a Trump tre semplici cose, che Trump può dare.
La prima è un maggiore impegno per chiudere la guerra in Ucraina, esercitando una pressione esplicita su Putin che arrivi ad una sorta di ultimatum per ottenere un reale cessare il fuoco. Non sono tra coloro che scioccamente rimproveravano a Trump di non aver fermato la guerra “in un giorno” come aveva promesso in campagna elettorale. Ovviamente le questioni sono complesse. Ma fossi Giorgia Meloni uscirei in conferenza stampa alla Casa Bianca dicendo di aver messo a disposizione l’Italia e la stessa città di Roma come luogo dove aprire un tavolo di mediazione permanente, potendo contare su un impegno concreto per la pace manifestato sempre dal Vaticano e da Papa Francesco personalmente.
La seconda cosa da chiedere a Trump è un trattamento di favore, un intervento speciale a favore dell’agroalimentare italiano. Gli americani adorano il nostro cibo e non meritano di pagarlo il 20% in più, anche perché in loco già costa caro. L’azzeramento dei dazi su pomodoro, olio, pasta, vino e parmigiano potrebbe essere persino negli interessi di Trump stesso e inoltre l’impatto sui conti sarebbe modesto: l’intero comparto agroalimentare italiano ha un export che vale 8 miliardi di dollari, i dazi al 20% rappresenterebbero un gettito di 1.6 miliardi a cui Trump può agevolmente rinunciare. La Meloni incasserebbe una vittoria operativa di straordinaria perché simbolica importanza, da sbandierare al ritorno a Roma.
La terza cosa che chiederei a Trump se fossi Meloni è il coraggio per compiere gli interventi concreti contro l’ideologia gender che hanno caratterizzato questa amministrazione e purtroppo non hanno caratterizzato tre anni di governo italiano. Se la conferenza stampa finale si dovesse tenere nello studio ovale, direi platealmente alle telecamere che noi il 5% del Pil sugli armamenti non potremo mai permettercelo e manco il 2%, quindi a quegli ordini non obbediremo compensando però con l’acquisto di gas liquido americano e favorendo anche l’acquisto di armi americane dai partners europei. Sulle armi non ci allineeremo dunque alle richieste Usa, lo faremo invece nello smantellamento dell’ideologia gender omaggiando Trump per aver tracciato una strada che seguiremo. Il ministro dello Sport che nessuno conosce ma si chiama Abodi impedirà per decreto che nelle nazionali femminili possano esserci atleti nati maschi; il ministro della Salute che si chiama Schillaci fermerà ogni intervento sui minori con i bloccanti della pubertà che preparano alla transizione sessuale; il ministro dell’Istruzione che si chiama Valditara cancellerà le carriere alias nelle scuole; il ministro Crosetto vieterà l’arruolamento di militari trans perché soggetti a pesanti e continue assunzioni di farmaci, incompatibili con la stabilità emotiva richiesta al soldato. Fossi la Meloni, nello studio ovale renderei omaggio a Trump per il coraggio dimostrato su questo terreno e gli chiederei la forza per imitarlo. Trump è un vanitoso, apprezzerà l’elogio e questo lo renderà incline ad accettare i nostri no sul comparto difesa, tanto la capacità militare è e resterà sempre poca cosa.
Dopo aver visto Trump la Meloni si incontrerà a Washington anche con il segretario al Commercio, Howard Lutnick. A lui porrei la questione dell’inutile escalation della guerra commerciale alla Cina, proponendo l’Italia come nazione disponibile a favorire un dialogo proficuo al posto di uno scontro permanente al calor bianco. Infine quando venerdì la premier sarà rientrata in Italia vedrà a Palazzo Chigi il vicepresidente Jd Vance e all’appuntamento farei venire anche il ministro alla Natalità, Eugenia Roccella, che ha battuto per tre anni consecutivi il record negativo di nascite. Vance potrà spiegare a entrambe come se si limita l’aborto fino quasi a cancellarlo, come hanno fatto 21 Stati americani, si ottengono maggiori nascite (per la precisione sessantamila in un anno in quei 21 Stati). Vance resterà in Italia per tutte le vacanze di Pasqua e suggerisco di ascoltarlo bene, anche sul tema della libertà d’espressione da tutelare in Europa, assai compressa in particolare per i cattolici antiabortisti e impegnati nella lotta all’espansione dell’ideologia woke e gender.
Da questa amministrazione americana c’è molto da prendere e a schiena dritta su ciò che non ci conviene possiamo anche dire i nostri no, non siamo vassalli ridotti all’obbedienza e non si va a Washington a baciare le chiappe a nessuno. Allo stesso tempo credo sia utile riconoscere l’importanza del ciclone Trump, dargliene serenamente atto per costruire un rapporto di reciproca fiducia che poi potrà servire anche a questa malandata Europa di cui non conviene farsi ambasciatori. La Meloni rappresenti gli interessi dell’Italia e chieda ciò di cui ha bisogno l’Italia. Quelli di oggi alla Casa Bianca saranno solo i primi minuti di una lunghissima e fondamentale partita. Vediamo di iniziare bene.