di Cristiana Di Stefano
Le pensioni e i servizi ai disabili sono diventati un costo insostenibile per lo Stato italiano. Da quando si è legalizzato l'”aborto”, cioè da quando è stata approvata la legge 194 del 22 maggio 1978, che “regola” l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), è iniziata la tragica crisi demografica, che oggi sta causando il gravissimo problema del “cambio generazionale” sul lavoro. Lo Stato italiano non ha più i soldi per pagare le pensioni ed i servizi, il sistema sanitario sta crollando, quindi i governanti ed i parlamentari stanno studiando il modo per recuperare un po’ di denaro e tamponare le spese più urgenti. Nasce da questo l’urgenza di legiferare urgentemente sul “fine vita”, fingendo che non esista già una legge a proposito, come se non esistessero gli articoli 579 e 580 del Codice Penale, che spiegano molto chiaramente che uccidere e spingere al suicidio sono dei reati gravissimi. Da molti anni, già da prima della legge 219 del 2017, è in essere una campagna mediatica martellante, su tutti i mezzi d’informazione e sui social, a favore del suicidio, un’istigazione continua al suicidio, 24 ore su 24, anzi chi si mostrava contrario, come me, veniva oscurato fino a pochi mesi fa, ora sembra che dopo gli accordi con Trump, ci sia più libertà di espressione.
Adesso, poiché i “signori del potere” hanno già sperimentato, che funziona benissimo per risolvere “democraticamente” i problemi relativi la politica, coloro che si trovano nella stanza dei bottoni, hanno ben pensato di coinvolgere la magistratura, o meglio ancora la Corte Costituzionale, per risolvere anche il problema di raggirare la legge esistente, cancellare gli articoli del Codice Penale menzionati prima, per fare in modo che ci sia la necessità di fare una nuova legge sul fine vita.
Siccome la legge sul cosiddetto “suicidio assistito” non sta dando i risultati sperati, nel senso che sono troppo pochi i malati terminali e disabili che decidono di mettere fine alla propria esistenza, ai vertici del potere, stanno prendendo provvedimenti. Da qui nelle ultime sentenze della Consulta, relative ai processi su Marco Cappato, per assolverlo dai reati ascrittigli, i magistrati hanno dovuto cancellare quei “paletti “, che loro stessi avevano deciso nel non lontano 2019, “paletti” in ogni modo anticostituzionali, come tutte le sentenze relative quei processi, che avrebbero dovuto essere state impugnate immediatamente. La Corte Costituzionale non ha il diritto, né la facoltà di decidere sulla vita e sulla morte dei cittadini italiani, non può scegliere quali siano i cittadini candidati al suicidio.
Il diritto alla vita è il diritto indisponibile per eccellenza e come già affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2002, il diritto alla vita non può ricomprendere il diritto a morire, che è il suo contrario. Coerentemente con tale impostazione, in Italia sono oggi puniti l’omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) nonché l’istigazione e l’aiuto al suicidio (art. 580 c.p.).
La vita è un bene indisponibile!!!
Invece ormai nella mente degli italiani si è consolidata l’idea che spingere al suicidio, per esempio, un ragazzo malato di sclerosi multipla, o una persona che ha semplicemente bisogno di assistenza per compiere gli atti quotidiani, è un atto benevolo e compassionevole, secondo le indicazioni delle sentenze della Corte Costituzionale. L’istigazione e l’aiuto al suicidio di un malato disabile viene giustificato dalla nuova ideologia istituzionale, in modo di indurre anche tutta l’opinione pubblica a pensare che la vita di un disabile non sia una vita dignitosa, anzi non sia una vita degna di essere vissuta da un essere umano, per cui indurre a credere che l’unica via d’uscita di un fragile per ritrovare la dignità e la libertà sia il suicidio.
Da questa corsa a voler legalizzare l’eutanasia, da questo voler imporre a tutta l’opinione pubblica l’ideologia favorevole all’eliminazione dei disabili e dei sofferenti, si evince che già da prima del 2017 è in atto una feroce campagna mediatica e politica per disumanizzare i più fragili, che dipendendo dagli altri per ogni cosa. Si vuole imporre all’opinione pubblica e allo stesso cittadino “fragile”, l’idea che quella non è più una vita, che un “disabile” non è più una persona, ma solo un peso per gli altri e per la società, un inutile fardello.
Nelle sentenze della Corte Costituzionale c’è la prova della disumanizzazione dei malati e dei disabili fisici, non solo, ma anche dei sofferenti psichici. Anche questa frenetica corsa delle Regioni italiane, a cui la Toscana ha fatto da apripista, per evitare la lista d’attesa a coloro che richiedono il suicidio assistito, la continua pressione mediatica su stampa, TV e social, sono una continua istigazione al suicidio rivolta a coloro che rientrano negli aventi diritto, decisi dalla Corte Costituzionale, secondo me un arrogante sopruso degno del regime di Hitler, un atto totalmente incostituzionale e discriminatorio. Però poiché il disabile e il malato psichico o fisico sono stati disumanizzati, il reato di istigazione al suicidio decade. Il messaggio di chi sta ai vertici del potere della Giustizia in Italia è molto chiaro: aiutare, prestare assistenza, accompagnare al suicidio un sofferente che rientra nei requisiti decisi dalla Corte Costituzionale, non è reato, ma un atto di liberazione, un’azione compassionevole, poiché quel soggetto non è più un essere umano, non è più una persona, la sua non è una vita dignitosa, quindi una volta disumanizzato, può essere, anzi deve essere aiutato a terminarsi, preferibilmente a domicilio, lontano da sguardi indiscreti.
Secondo il mio modesto parere e secondo la logica, i processi a Marco Cappato, andrebbero tutti rifatti.
L’articolo del codice penale 580 vieta l’istigazione al suicidio.
L’articolo 579 vieta l’omicidio del consenziente.
Il termine suicidio assistito è un ossimoro senza senso, poiché composto da due parole di significato opposto.
Se una persona fosse aiutata da una terza ad uccidersi, sarebbe omicidio del consenziente.
Quindi qui si sta parlando di reati, non di diritti.
Le motivazioni per assolvere Marco Cappato dai reati commessi sono assurde, inammissibili e discriminatorie nei confronti dei malati e dei disabili, perciò anticostituzionali.
Anche le sentenze della Corte Costituzionale sono anticostituzionali.
La Consulta non può decidere chi è degno di vivere e chi invece ritroverebbe la dignità suicidandosi, questo è un fatto degno del peggiore regime totalitario, paragonabile a quello del secolo scorso, quando Hitler decideva chi andava eliminato. Poiché violano molti diritti costituzionali e universali, le sentenze della Consulta dovrebbero essere impugnate.
Un altro motivo di impugnazione sono i criteri scelti per concedere il cosiddetto suicidio assistito, come per esempio, tutti coloro che non sono in grado di compiere autonomamente quei gesti quotidiani tali da permettere la vita. Qui c’è un paradosso giuridico, perché quei criteri sono gli stessi che servono per ottenere il certificato di invalidità civile al cento per cento e per ottenere il certificato di disabilità gravissima, che danno diritto alla pensione, all’accompagnamento, ad altre indennità e contributi utili per l’assistenza alla persona.
Le sentenze della Consulta sono in totale contrasto con le leggi vigenti dello Stato italiano e della Corte Europea, a tutela della vita dei cittadini più fragili. Quei criteri non possono essere utilizzati per emettere sentenze che agevolano la morte dei sopra citati, criteri in base ai quali lo Stato stanzia dei fondi per tutelare il diritto universale alla vita. Non esiste alcun fantomatico diritto alla morte in nessun testo giuridico.
Un altro motivo per impugnare le sentenze della Consulta è che non ci sono prove che possano garantire la cessazione della sofferenza del richiedente il suicidio assistito, né durante, né dopo tale intervento, dato che nessuno è mai tornato indietro dall’aldilà per raccontarcelo.
E ancora un altro motivo di impugnazione è che a nessun aspirante suicida viene fatta una valutazione sulla motivazione, sulla capacità di intendere e di volere, sulla veridicità della libera scelta, se c’è una forza reale o immaginaria che lo spinge al suicidio, come un eventuale senso di colpa, o la solitudine, o l’impossibilità di pagare l’assistenza, o maltrattamenti fisici e morali inflitti da chi invece dovrebbe accudirlo con rispetto e amore, o da altri motivi che non siano una libera decisione di voler terminare la propria vita. Un’altra motivazione per impugnare le sentenze è che non esiste mai un motivo valido per voler morire, perché contrario al naturale istinto di sopravvivenza innato in tutti gli esseri viventi.